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La Civita e parte del Sasso Barisano

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Matera negli anni 1970-90

anni 70 piazza san francesco

Espansione della città

Piazza negli anni 1980-90

piazza matteotti 1975

 

 

 

 

 

L’evacuazione totale degli abitanti dei rioni Sassi, che con la loro manutenzione continua erano riusciti nonostante il grande affollamento demografico e le precarie condizioni di igiene a preservare l’unità architettonica del sito, accelerò il naturale processo di degrado.

Fu solo dopo l’espletamento del Concorso Internazionale di idee del 1975-77, indetto dal Comune di Matera che vennero elaborate le linee guida del processo di recupero dei Rioni Sassi che portarono al riconoscimento dei Sassi come centro storico a tutti gli effetti della città di Matera e di conseguenza riabilitarli attraverso il restauro urbano effettuato seguendo le regole morfologiche, architettoniche ed urbanistiche dell’intero contesto ambientale in cui è situato, comprendendo anche l’Altopiano Murgico per la lettura della complessità dell’insediamento e del suo restauro.

La complessità dell’intervento e le ingenti risorse necessarie per attuarle portarono alla emanazione della Legge nazionale N. 771 del 1986 in cui venivano stanziati i fondi necessari al recupero dei due antichi Rioni: il Sasso Barisano e il Sasso Caveoso iniziando quel processo di rivitalizzazione e recupero alle funzioni urbane dei due rioni. Il processo di recupero avviato nel 1987 con preliminari analisi, attività di studio, ricerca e poi predisposizione di strumenti che avrebbero regolato il riutilizzo del patrimonio edilizio urbano rispettoso delle tipologie e dei materiali originali, porteranno alla redazione dei Programmi Biennali attraverso i quali attuare il recupero del sito insieme alla pianificazione del resto del territorio incluso nell’area del Parco delle Chiese rupestri del Materano (ora Parco della Murgia Materana).

Successivamente, nella fase operativa, l’Amministrazione Comunale si è dotata di ulteriori strumenti di analisi e conoscenza, specifici di particolari problematiche, propedeutiche alle fasi di recupero.

Matera negli anni 1990-2010

Via Don Luigi sturzo nel 2000

Matera by night

Matera la Civita e il Sasso Caveoso visti da Piazzetta Pascoli

La Civita e parte del Sasso Barisano

Il riconoscimento dei Sassi come centro storico del Comune di Matera è tutelato a livello nazionale dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Legislativo N. 42/2004 e successive modificazioni e integrazioni), a livello regionale dalla Legge Regionale N. 11 del 3 aprile 1990, “Tutela dei Sassi e del prospiciente Altipiano Murgico” e con l’iscrizione di Matera nel 1993 nel “World Heritage List” tutelato a livello mondiale dalle norme UNESCO che impegnano lo Stato Italiano ad adottare una politica generale intesa ad assegnare una funzione strategica al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a integrare la protezione di questo patrimonio nei programmi di pianificazione generale.

Il processo di conoscenza e il costante lavoro di ricerca ha portato al riconoscimento dei valori e dei simboli presenti nel sito dei Sassi trasformando in un patrimonio di portata mondiale quello che appena 60 anni fa era stato considerato una vergogna nazionale, molto del merito, però, va ai 16.000 abitanti che fino agli anni 1950-60, nonostante le gravose condizioni di sovraffollamento ed igiene in cui vivevano, hanno permesso che venisse scelto il sito di Matera perché, sul lungo periodo, rappresentava il migliore e il più completo esempio di popolamento in armonia con l’ecosistema, in una regione del bacino del Mediterraneo. L’unicità ma soprattutto la conservazione nel suo impianto originario ha permesso la sua designazione rispetto a realtà esistenti ed assimilabili situate in Puglia, Iran, Grecia, Tunisia ma compromesse nel loro disegno originario.

Il processo di recupero e rifunzionalizzazione dei Sassi, come centro storico nelle sue funzioni urbane, ha portato all’individuazione lungo i percorsi e le strade principali delle attività di terziario leggero (artigianato, commercio e servizi), il tessuto abitativo minuto viene mantenuto nella originaria destinazione d’uso residenziale, mentre i palazzi patrizi, le case a corte e i conventi, per mantenerne l’integrità vengono destinati ad uso specialistico, a funzioni direzionali, turistiche e culturali (il 17% del tessuto edilizio recuperato è stato destinato a finalità culturali). Trovano collocazione nei Sassi alcune sedi periferiche del MiBAC, Fondazioni culturali, Musei, associazioni culturali (Matera ne conta oltre 150) e altre attività culturali che hanno localizzato la loro sede nei Sassi per beneficiare della fitta rete di rapporti istituzionali ivi concentrata.

Matera negli anni 1950-70

Nel luglio del 1950 il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, si recò a Matera , per accertarsi delle reali condizioni di vita degli abitanti dei Sassi e al suo ritorno propose in Parlamento un disegno che divenne poi legge sul “Risanamento dei Sassi di Matera” (legge n. 619/52), ove venivano indicati i borghi e i quartieri che sarebbero stati costruiti e le modalità con cui si sarebbe attuato il trasferimento dei 16.000 abitanti dei rioni Sassi.

Sono questi gli anni in cui i Sassi vengono alla ribalta nazionale, diventando un grande laboratorio di studi e ricerche, aprendo il grande dibattito culturale che ha visto protagonista il mondo scientifico attraverso studi effettuati da urbanisti, antropologi, sociologi architetti, fotografi, filmaker, locali, nazionali e internazionali.
A livello antropologico e sociologico moltissimi studiosi italiani e stranieri hanno analizzato le forme comunitarie dei Sassi, come sopravvivenze di modi e attività arcaiche tramandate attraverso la persistenza degli usi giunti fino a noi. Essi hanno rappresentato, un sito privilegiato per analizzare le dinamiche sociali tipiche della “cultura contadina” del meridione d’Italia, attraverso l’analisi della conformazione urbanistica e della testimonianza ancora viva del modus vivendi delle generazioni che fino agli anni ’50 hanno vissuto in conformità di regole antiche dettate da un sistema sociale basato sul mutuo soccorso, noto come sistema del “vicinato”, oggetto di importanti studi antropologici nel decennio 1950 – 1960.

L’immagine sociale di arretratezza economica e sociale in cui erano stati relegati gli abitanti dei Sassi fece optare per un intervento complessivo di rivitalizzazione del sistema economico, attuato con la riforma agraria, in cui si innestarono gli studi sulle le strutture comunitarie di mutualità collettive esistenti nei Sassi (vicinati) in modo da prevedere nella pianificazione dei nuovi rioni degli spazi per la socialità miranti a ricreare le identità comunitarie e le forme di mutualità che erano presenti nei Sassi.

I nuclei familiari contadini assegnatari di lotti di terra e unità abitative dotate anche di spazi idonei per le attrezzature agricole e per il ricovero degli animali, furono dislocate però nei nuovi borghi situati in aree sub urbane per essere più vicini all’agro agricolo. La mancata coordinazione delle distanze tra il borgo e i lotti assegnati e le  ridotte dimensioni del lotto compromisero il successo del Piano elaborato che aveva visto la collaborazione di urbanisti, ingegneri e architetti di fama nazionale.

L’apertura dei cantieri per la costruzione dei nuovi quartieri cittadini e il conseguente aumento di addetti in edilizia, porterà ad una trasformazione della composizione dell’economia locale con una riduzione degli addetti nel settore primario e un aumento nel settore secondario. Trasformazione registrata nei dati statistici del censimento del 1971 in cui gli addetti in agricoltura costituivano solo il 13 % della popolazione attiva, mentre nel censimento del 1951 rappresentavano il 44% della popolazione attiva.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Matera negli anni 1930-50

 

Interno di una famiglia dei Sassi

Parcheggio per i mezzi di locomozione degli abitanti dei Sassi in Via Casal Nuovo

 La rappresentazione che ci rimanda Carlo Levi nel suo libro pubblicato nel 1945 “Cristo si è fermato ad Eboli” è decisamente drammatica. Descrive le sensazioni provate dalla sorella nel 1935, quando si visitò Matera, che collega metaforicamente i Sassi ai gironi dell’inferno dantesco: “…Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento erano straiati i cani, le pecore, le capre, i maiali. Ogni famiglia ha in genere, una sola di quelle grotte per tutta abitazione e ci dormono tutti insieme, uomini, donne, bambini e bestie. Così vivono le persone . Di bambini ce n’era un’infinità. In quel caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere, spuntavano da tutte le parti, nudi del tutto o coperti di stracci…. “.

E’ la rappresentazione di una comunità, che i geografi definiscono pre-industriale per l’alta percentuale di addetti inseriti nel settore primario, caratterizzata da bassa redditività, con scarsi investimenti di capitali in tecnologie e utilizzo massiccio di mano d’opera a basso costo, tipica delle comunità tradizionali nelle quali per modi culturali e religiosi vengono incentivati i nuclei familiari ad alto indice di natalità.

La denuncia di Levi circa l’estrema indigenza in cui era costretto a vivere circa il 70% della popolazione materana, era già stata rilevata nel 1789 da Giambattista Fortis, letterato e naturalista, che aveva messo in evidenza la mancanza di interesse da parte delle classi dirigenti locali per rendere più umane le condizioni di vita delle classi subalterne che erano costrette a vivere in condizioni di estrema indigenza. Nel 1938 il medico Luca Crispino, pubblica “L’inchiesta demografica sull’abitato dei Sassi e sulle malattie sociali della città di Matera”, in cui vengono descritte le gravi condizioni di sovraffollamento demografico, l’estrema indigenza in cui erano costretti a vivere e come queste condizioni incidessero sulle condizioni fisiche degli abitanti dei rioni . Tale denuncia fu ribadita in Parlamento da Palmiro Togliatti nel 1948 che la definì “una vergogna nazionale”.

  

 

Matera 1900-1930

 

La  particolarità dell’insediamento del sito della città di Matera, si è evoluto nel rispetto della preesistente composizione geomorfologica del territorio dove è ubicato e in relazione alle diverse esigenze  abitative e sociali che si sono verificate nel tempo. Queste peculiarità furono rilevate anche nella monografia scritta nel 1928 da Adolfo Bretagna,procuratore del re Vittorio Emanuele III, intitolata ” Matera città sotterranea” e pubblicata nel numero 242 di: Le cento città d’Italia illustrate, edito dalla casa editrice di Sonsogno di Milano che la descrive così:

Visita del re Vittorio Emanuele III nel 1926

L’aspetto della città è dei più strani e quasi raffigura una gigantesca M rovesciata coi vertici superiori al piano e i lati racchiudenti due valli assai scoscese dette Sassi, tra le quali sprofonda il vertice mediano, come uno sperone su cui sorgono gli edifici principali, quali il Municipio e la Cattedrale…Nei Sassi le case sono l’una su l’altra, si insinuano nella roccia e sotto le vie, come abitazioni primitive, dove brulica la popolazione dei contadini e degli operai e dove si vive, in tanto disagio in una indifferente promiscuità: in uno stesso ambiente genitori, figli, cani, asini, muli, galline e non è infrequente il grugnito di qualche roseo e grassotto suino pezzato di bianco e di nero. Ma lassù, nel piano, fervono la vita e la civiltà con la piccola stazione delle Ferrovie Calabro Lucane… “.

stazione

E’ la rappresentazione di una città con un impianto urbanistico particolare che le conferiva un aspetto pittoresco e con forti demarcazioni sociali. Gli impiegati e la borghesia dislocati nel quartiere del Piano e gli operai e i contadini relegati nei quartieri dei Sassi dove vivevano in abitazioni primitive e in promiscuità. Nelle sue descrizioni si soffermerà molto nell’elogio e rappresentazione del quartiere del piano che rappresentava la civiltà, dove vivevano la borghesia e gli impiegati e venivano svolte le attività della comunità che appena l’anno prima era diventata capoluogo di provincia perciò bisognava evidenziare tutte le strutture di servizio di cui era dotata la cittadina per uniformarla agli standard degli altri capoluoghi di provincia.

Rappresentazioni storiche di viaggiatori della seconda metà del XVIII secolo

Matera in prospettiva di Giambattista Albrizzi anno 1761

 Nel 1789 Giambattista Fortis, letterato e naturalista, visitando Matera scrisse: “…Sembra che solo le grotte servissero di abitazione negli antichissimi tempi, giacchè le case hanno l’apparenza di essere state costruite nel XVI secolo, e fra le case e e fra le grotte se ne vedono di quelle che non solo hanno dovuto essere in origine chiese, ma vi sono anche dei conventi che serbano le tracce dell’antica destinazione. Generalmente il popolo abita in queste grotte, alcune delle quali regolarmente scavate ed a cui hanno aggiunto una stanza fabbricata con pareti porta e finestra. Visitai parecchie di queste grotte e non senza pericolo perchè al minimo passo falso sarei potuto cadere giù nel precipizio e sfracellarmi e, nell’arrampicarmi non potetti fare a meno di frenare il pensiero che migliaia e migliaia di persone per tanti e tanti anni, si erano esposte e seguitavano ad esporsi ad un simile pericolo. […] Deve ascriversi questo, principalmente allo stato di ignoranza e di barbarie nel quale la Basilicata trovasi tuttora avvinta, ed alla poca cura che si è avuta fino a questo momento di educare ed illuminare il popolo, nè potrà mai esso liberarsi da questo stato di barbarismo, se non avrà strade migliori, baroni più umani, ed autorità più intelligenti”.

Otto anni dopo, nel 1797, visitò Matera Giuseppe Antonini barone di S. Biase e nei suoi “Discorsi” a pagina 69 così la descrive: ” Matera per l’ampiezza delle abitazioni, per lo gran numero de’ suoi gentilissimi e ricchi cittadini, per la sua cattedra arcivescovile, per le sue fertilissime vaste campagne, per la residenza del Tribunale dell’Udienza Provinciale e per mille e altri pregi è chiara e illustre”. Questa descrizione non ci illumina solo sulla forte demarcazione sociale ed economica esistente tra la Civita e il Piano rispetto ai rioni Sassi oramai chiusi visivamente lungo l’asse perimetrale di pianura dalle architetture civili e religiose ma ci dà anche la sensazione che le classi dirigenti dell’epoca volessero nascondere e non voler vedere le misere condizioni in cui avevano costretto a vivere l’80% della popolazione.